12 novembre 2016

Alzheimer, demenza e omocisteina di Omar Vassalli



L’omocisteina è un aminoacido che si forma, nel nostro corpo, a partire dalla metionina. La metionina è un aminoacido essenziale, ciò significa che è necessario che sia presente nella nostra dieta in quanto il nostro corpo non è in grado di produrlo. Questo aminoacido, la metionina, e comunemente presente negli alimenti ricchi in proteine, in particolare in quelli  di origine animale come carne, uova e formaggio.
Purtroppo l’omocisteina è un aminoacido molto tossico che tende a danneggiare le arterie, conducendo a problemi di malattie cardiovascolari e sembra pure legata a malattie come l’Alzheimer ed in generale alla demenza senile.
Circa il 20% delle persone sopra i 75 anni presenta problemi legati all’Alzheimer oppure alla demenza.
Un alto livello di omocisteina nel sangue può quindi creare i seguenti danni:
  • Danni al cervello
  • Perdita di memoria
  • Perdita delle capacità cognitive
  • Danni alle arterie
Fortunatamente il nostro corpo è in grado di convertire questo aminoacido tossico, l’omocisteina, in metionina oppure in cisteina che è un altro aminoacido.
Per poter far questo è importante che la nostra dieta sia ricca nelle seguenti vitamine;
  • B12 (supplementi)
  • B6 (semi di girasole, pistacchi, banana, avocado e spinaci)
  • Folato (fagioli, foglie verdi come spinaci)
In un esperimenti si è visto che somministrando per 2 anni le vitamine del gruppo B, precedentemente elencate, si è constatato una significativa riduzione del processo di deterioramento del cervello che si ha con l’invecchiamento. Questa supplementazione ha ridotto il processo di deterioramento del cervello, che si vede nei pazienti affetti di Alzheimer, di ben 6 volte!
Il beneficio della supplementazione si verifica solo nelle persone che hanno una marcata carenza in queste vitamine.
I gruppi più a rischio nell’avere un alto livello di omocisteina sembrano essere i vegani. Questo in un primo momento sembra essere un paradosso perché i vegani non consumando proteine animali hanno un basso apporto di metionina, che è il precursore della omocisteina, in altre parole la omocisteina viene prodtta a partire dalla metionina. Sappiamo che dopo un pasto ricco in metionina la concentrazione di omocisteina nel sangue aumenta significativamente. Il problema di una dieta vegana malamente pianificata è che è totalmente priva di vitamina B12 e spesso è anche povera in zinco per cui queste due carenze favoriscono una forte accumulo di omocisteina nel sangue, incrementando conseguentemente i rischi delle patologie associate a questa sostanza tossica.
Infatti i livello di omocisteina nei vari gruppi di persone in uno studio è risultato il seguente:
Livello di omocisteina nel sangue
  • Onnivori: 11
  • Vegetariani 14
  • Vegani 16,4
Questi pessimi risultati sono legati ai bassi livelli di vitamina B12 nel sangue che risulta essere quanto segue nei vari gruppi:
Livello di vitamina B12 nel sangue
  • Onnivori: 303
  • Vegetariani 209
  • Vegani 175
Purtroppo molti vegani, a causa di un basso livello di vitamina B12 nel sangue, hanno alti livelli di omocisteina per cui sono a forte rischio di sviluppare Alzheimer e la demenza senile nonché certe malattie cardiovascolari.
Se un vegano assume una quantità adeguata di vitamina B12 il suo livello di omocisteina scende da 16.4, come abbiamo visto precedentemente, a 5! Che è il valore più basso in assoluto tra i vari gruppi. Quindi è fondamentale per i vegani assumere la vitamina B12 altrimenti si perdono i vantaggi di una dieta vegana.
Con una dieta vegana opportunamente pianificata è possibili abbassare il livello di omocisteina nel sangue del 20% in una sola settimana.
Le fibre presenti negli alimenti di origine vegetale tendono a favorire lo sviluppo della nostra flora intestinale che è capace di produrre il folato.

Conclusione: un alto livello di omocisteina nel sangue indica che abbiamo un forte rischio di sviluppare delle malattie cardiovascolare oppure di venire colpiti dall’Alzheimer o in generale della demenza negli anni avanzati della nostra vita. Il modo migliore per tenere basso il livello di omocisteina è quello di adottare una dieta vegana, o in generale ridurre l’apporto di proteine ricche in metionina associata obbligatoriamente ad un buon apporto in vitamina B12, B2, Betaina e dello zinco. Senza l’assunzione di vitamina B12 attraverso i supplementi una dieta vegana può essere più pericolosa rispetto ad una dieta onnivora, da questo punto di vista.


30 settembre 2016

Prebiotici ad alta specificità per lattobacilli e bifidobatteri

da DOTT. F.DI PIERRO il 28 FEBBRAIO 2013



L’intestino di un soggetto adulto ospita circa 500 specie unicellulari. Queste, quasi tutte batteriche, vengono identificate come ‘flora’ o ‘microflora’ intestinale con funzioni fondamentali e vitali per il benessere e la sopravvivenza stessa dell’individuo.
L’intestino umano, sterile alla nascita, viene rapidamente colonizzato da microrganismi (piogeni, patogeni, funghi e altri più rari organismi unicellulari) fino ad ammontare, in un individuo adulto, a circa 1014 cellule vive.
Lo sviluppo della flora intestinale segue uno schema ben noto: all’inizio l’intestino è sterile nell’utero materno, e subisce la prima contaminazione per via orale a partire dalla flora vaginale materna. Tra il 20° giorno dalla nascita, e fino al 4°-6° mese di vita, si sviluppa una flora primariamente costituita da bifidobatteri. Con lo svezzamento si assiste ad una lenta transizione che condurrà infine il giovane intestino ad una composizione  sovrapponibile a quella  tipica di un soggetto adulto.
Una volta stabilizzata nell’intestino adulto, la flora risulterà essere piuttosto segmento-specifica lungo l’asse gastrointestinale: lo stomaco, con meno di 104 microrganismi totali/ml, conterrà essenzialmente i generi candida, helicobacter, lattobacillus e streptococcus; il duodeno e il digiuno (circa 104 /10 5 cellule totali/ml) conterranno bacteroides, candida, lattobacillus e streptococcus; l’ileo (circa 107 /108 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, clostridium, enterococcus, lattobacillus e veillonella; il colon (circa 1010/1011 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, bacillus, bifidobacterium, clostridium, enterococcus, eubacterium, fusobacterium, peptostreptococcus, ruminococcus, streptococcus.
Un’analisi numerica, non segmento-specifica, consente invece di evidenziare le popolazioni in relazione alla loro presenza quantitativa totale. In base a quest’analisi riconosciamo: 1010 bacteroidi
(organismi patogeni solo nei tessuti al di fuori dell’ambito intestinale); 109 bifidobatteri; 109 eubacteriaceae (tra cui coliformi e clostridi non necessariamente patogeni); 109 streptococchi e 108 batteri lattici. Nel loro insieme compongono la microflora.
Per quanto concerne il trattamento prebiotico, è potenzialmente possibile costituire uno strumento preventivo-terapeutico per le disbiosi in genere, tenendo in attenta considerazione i rapporti quantitativi tra bifidobatteri e batteri lattici che, nel loro insieme, sono il reale bersaglio del trattamento prebiotico (Composizione prebiotica ad alta specificità per lattobacilli e bifido batteri in prevenzione e trattamento delle alterazioni della flora intestinale, F. Di Pierro, A. Callegari, M. Speroni, R. Prazzoli, G. Rapacioli, L’ Integratore Nutrizionale 2009, 12 ).
Largamente riconosciuti dalla comunità scientifica come in grado di influenzare positivamente il benessere intestinale inteso come capacità immunologica, digestiva, di transito, anti-stipsi, anti-diarroica e di assorbimento dei nutrienti, bifidi e lattobacilli possono essere infatti ‘alimentati’ ricorrendo all’uso di fibre prebiotiche, costituendo queste un vero e proprio substrato nutritizio solo per queste due specie batteriche.
Secondo la definizione del Ministero della Salute ‘le fibre prebiotiche sono sostanze non digeribili di origine alimentare che, quando assunte in quantità adeguata, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o che vengono assunti insieme al prebiotico’.
Fibre prebiotiche scientificamente documentate, e quindi impiegabili in sicurezza, per uso umano sono: l’inulina, i galatto-oligosaccaridi  (GOS), i frutto-oligosaccaridi (FOS), il lattosaccarosio, le pirodestrine, i soia-oligosaccaridi, i trans-galatto-oligosaccaridi, gli isomalto-oligosaccaridi, il lattilolo, il lattulosio, gli xilo-oligosaccaridi e il polidestrosio.
  • Fibre bifido-specifiche.
L’inulina è una miscela di oligosaccaridi caratterizzata dalla presenza di fruttosio polimerico a 10-12 subunità (legame beta-2-1-glucosidico); è presente in natura e rintracciabile, ad esempio, nella radice di Cichorium intybus (la comune cicoria) e in altre specie vegetali. L’inulina è una fibra bifido-specifica.
GOS sono invece oligomeri del galattosio (epimero del glucosio), ma anch’essi mostrano elevata ceppo-specificità verso i bifidobatteri.
FOS sono polimeri a corta catena, contenenti alternanza di D-fruttosio e D-glucosio (3-5 subunità). Anche i FOS sono fibre bifido-specifiche.
  • Fibre lattobacillo-specifiche.
Gli isomalto-oligosaccaridi (IMO) sono polimeri dell’isomalto, a sua volta disaccaride costituito da glucosio e mannitolo, fermentabili anche, e principalmente, dai batteri lattici.
Il lattilolo e il lattulosio sono fibre disaccaridiche analoghe (D-lattosio e D-fruttosio) ottenute per via semi-sintetica e normalmente impiegate nel trattamento della costipazione e dell’encefalopatia epatica. Sono anch’esse fermentabili anche dai lattobacilli ad acidi organici a corta catena (lattato, acetato, butirrato e propinato).
Infine il polidestrosio, polimero del destrosio, che è invece particolarmente fermentabile dai batteri lattici.
Già da questa elencazione è possibile notare un certo grado di specificità, per genere, in favore delle fibre con caratteristiche di bifidogenicità, almeno in termini numerici. La conoscenza di questa caratteristica però non è sufficiente per elaborare, sotto il profilo teorico, un optimum nutrizionale prebiotico.
Altre caratteristiche devono infatti essere considerate: il rapporto numerico tra le popolazioni, la loro locazione specifica (soprattutto a livello di colon ascendente, trasverso e discendente) e il grado di fermentabilità di una determinata fibra nei diversi acidi organici a corta catena.
  • Correlazioni numeriche necessarie alla corretta formulazione della miscela prebiotica.
Come già detto, in un intestino sano i due ceppi, bifidobacterium e lattobacillus, coesistono in rapporto 10:1: di conseguenza i componenti prebiotici bifidogenici e lattogenici dovranno essere opportunamente miscelati in rapporto 10:1 così da riprodurre le naturali proporzioni intestinali.
Tra i bifidogenici, particolare attenzione deve essere rivolta soprattutto ai rapporti tra inulina, GOS e FOS; nell’insieme tali fibre risultano essere la scelta d’elezione, se non altro per mole di documentazione disponibile in ambito clinico.
Degno di nota e rilievo, GOS e FOS sono naturalmente presenti, in rapporto 9:1, nel latte materno. Questo rapporto deve essere ritenuto  fondamentale, e quindi mantenuto invariato, se si considera il latte materno come il primo elemento dietetico naturale formante la microflora intestinale bilanciata del neonato.
In considerazione del fatto che GOS e FOS hanno tempi di fermentabilità più brevi, e quindi teoricamente vengono scisse nella prima porzione del colon, rispetto all’inulina, a sua volta fermentata specialmente nel tratto finale di quest’ultimo, la miscela GOS/FOS dovrà risultare in rapporto 1:1 con l’inulina.
Essendo inoltre bifidobatteri e lattobacilli bilanciati, in un intestino sano, in rapporto 10:1, la quota di fibra bifidogenica dovrà essere in rapporto 10:1 con quella lattogenica.
Nel formulare quest’ultima, la miscela con caratteristiche di lattogenicità, bisognerà poi valutare la necessità di avere fibre capaci di determinare da parte loro una equa e proporzionata produzione di acidi organici a corta catena, avendo questi (butirrato, propionato, acetato e lattato) un ruolo trofico per l’epitelio intestinale e anti-patogenico differente. In questo senso la miscela di fibre funzionalmente più attiva è costituita dalla miscelazione, in rapporto 2:1:1, di isomaltooligosaccaride:lattulosio:polidestrosio.
  • Composizione e sicurezza della miscela prebiotica.
Sulla base di quanto fin qui descritto, e con l’obiettivo di ottenere un formulato ad azione prebiotica specifica, è stata sviluppata una miscela costituita da: inulina, GOS, FOS, isomalto-oligosaccaride, lattulosio e polidestrosio.
Su tale formulato, oggetto di brevetto, è stato condotto uno studio di  tossicità orale acuta (dose  fissa) somministrando una dose di 2000 mg/kg/per os ad un gruppo di 5 ratti femmina (SD) mediante sondino gastrico. Secondo i risultati di tale studio la miscela prebiotica risulta priva di tossicità.
Il preparato prebiotico in oggetto è stato sottoposto ad indagine clinica pilota ambulatoriale su 10 pazienti con diagnosi di sindrome del colon irritabile (IBS) già trattata con un preparato a base di olio essenziale di menta microincapsulato e risolta, almeno in termini di manifestazione dolorosa, ma nei quali sussisteva ancora un’evidente produzione di gas intestinale con discomfort e possibile  evidenza di alvo alterno, diarrea e stipsi in linea con un quadro di disbiosi e alterazione della flora.
Questi soggetti (8 femmine e 2 maschi) di età compresa tra i 18 e i 55 anni, in assenza di ulteriore diversa terapia, sono stati trattati con una bustina di prodotto al giorno, al mattino a stomaco vuoto, per 14 giorni.
Ad inizio e fin  trattamento, mediante scala analogico visiva di Scott-Huskisson (score tra 0 e 10), è stata eseguita una valutazione sintomatologica. Da tale valutazione si evince come il prodotto, dopo 14 giorni di terapia riduca sensibilmente la produzione di gas intestinali ed il discomfort conseguente, contrastando efficacemente anche i quadri di alvo alterno e diarrea e, parzialmente, quelli di stipsi che residua evidente in un paziente su due.
Il prodotto inoltre è risultato ben tollerato e, tranne un episodio di cefalea, non sono stati registrati segni avversi sicuramente imputabili al trattamento e, di conseguenza, nessun caso di abbandono è stato registrato.
  • Conclusioni.
Le alterazioni della flora intestinale, secondarie ad IBS, antibiotico-terapia, sbilanciamenti dietetici, stress, colite, diarrea ad eziologia varia, etc, vengono oggi trattate principalmente con farmaci (principalmente OTC) e/o integratori alimentari contenenti ingredienti probiotici e/o prebiotici.
Nonostante i probiotici abbiano nella scarsa vitalità dei ceppi impiegati nel formulato finito, sempre più spesso rivendicato come ‘stabile’ anche a temperatura ambiente, il loro grande limite, i prebiotici vengono, nella maggior parte dei casi, considerati complementi di formula che consentono semplicemente al prodotto probiotico di essere rivendicato come simbiotico grazie alla loro presenza.
Al contrario, oltre ad essere un valido principio attivo, le fibre prebiotiche hanno il grande vantaggio di essere facilmente stabilizzate all’interno del formulato finito.
Per esse, inoltre, non deve essere verificata la vitalità dopo il superamento della barriera gastrica  e di quella biliare e, soprattutto, non devono essere eseguiti test per verificarne la capacità colonizzante. Anche lo svantaggio, non certo loro esclusivo, di provocare gonfiore, meteorismo e flatulenza può essere poi modulato razionalizzando i dosaggi e le posologie giornaliere.
Nonostante ciò, l’attivo a funzione prebiotico non viene considerato con l’attenzione che, quindi, meriterebbe.
Con una evidente inversione di tendenza, il nostro gruppo di ricerca (Velleja Research) ha sviluppato un preparato a base di fibre prebiotiche partendo dalla considerazione che queste sono nutrizionalmente valide esclusivamente per ceppi di bifidobatteri e lattobacilli che, a loro volta, colonizzano l’intestino sano secondo un determinato rapporto.
La miscela prebiotica formulata è frutto di tutte queste considerazioni e, per questo, è da considerarsi il primo esempio nutrizionale di miscela di fibre prebiotiche sviluppata per un’azione specifica sulla microflora intestinale residente.

17 settembre 2016

Nutraceutica Con le Alghe




L’alimentazione nutriceutica con le alghe è un metodo di prevenzione e riequilibrio psico-fisico ed energetico.
Consiste nell’assunzione sistematica e razionale di alghe marine e microalghe allo scopo di apportare all’organismo micronutrienti essenziali alla riattivazione e al corretto funzionamento delle funzioni cellulari e dei processi metabolici.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe ha lo scopo di bilanciare la nutrizione incrementandone l’aspetto qualitativo e può essere di per se sufficiente a risolvere rapidamente alcuni aspetti patologici sintomatici, oppure fungere da rimedio diatesico (es. diatesi linfatica) e del terreno, piuttosto che di correzione dismetabolica.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe offre un’opportunità a:
  • individui  sani che desiderano aumentare le probabilità di rimanere in salute per il resto della vita;
  • persone disposte a cambiare modo di vita e di alimentazione per conseguire uno stato di buona salute;
  • persone che già soffrono di malattie o di problemi fisici e mentali.

Quest’ultimo gruppo di persone potrà praticare l’alimentazione nutriceutica con le alghe come terapia, mentre per i primi due gruppi i programmi saranno integrati nel contesto di una medicina squisitamente preventiva.
Le malattie dovute ad un eccesso o a un difetto di alimentazione sono provocate dalla malnutrizione. Si può parlare quindi di malnutrizione per eccesso di apporto nutritivo (obesità, diabete e ipertensione), per difetto (gozzo, rachitismo e anemia), e per squilibrio (malattie cardiovascolari, tumori e carie dentali). Un malassorbimento delle sostanze nutritive può causare la Celiachia. Ci sono poi malattie provocate da disturbi psicologici che portano ad un cattivo rapporto col cibo come l’Anoressia e la Bulimia.
Gli squilibri biochimici che derivano da una nutrizione che nel corso di molte generazioni si è mantenuta scorretta, vengono espressi geneticamente come debolezze di uno specifico processo dell'organismo. Se i geni determinano la predisposizione a particolari problemi di salute, il lungo processo necessario perchè si manifesti una malattia cronica degenerativa può venire favorito, ma anche bloccato, dalle condizioni ambientali (cibo, aria, acqua, luogo) e dallo stile di vita (stress, fumo, attività fisica, ecc...). Pertanto a determinare se una predisposizione può trasformarsi in autentico fattore di rischio, dipende dalle consuetudini di vita del singolo.
L'inquinamento ambientale e l'impoverimento nutrizionale degli alimenti causato dalle coltivazioni intensive, concimazioni chimiche, raffinazioni, additivi vari, mangimi scadenti, sono eventi piuttosto recenti che non hanno dato tempo all'uomo di adattarsi perché i geni hanno bisogno di molto tempo per evolversi. L'alimentazione dell'uomo moderno abbonda di calorie vuote e lo stress, che aumenta il fabbisogno di micronutrienti, fa parte della vita quotidiana; pertanto le carenze sono molto diffuse e una cellula malnutrita funzionerà sempre più lentamente fino a deteriorarsi. I fenomeni ossidativi che si accumulano nelle cellule e l'acidosi tissutale sono la causa di molte malattie degenerative e dell'invecchiamento precoce. Gli antiossidanti alimentari e i cibi alcalini (come sono in particolar modo le alghe) svolgono un ruolo essenziale nel mantenimento dell'integrità della cellula. Le sostanze derivanti dall'alimentazione sono in grado di influenzare l'equilibrio cellulare e quindi anche dei sistemi che regolano l'intero organismo. Introducendo quotidianamente nell’organismo le alghe come cibo funzionale si mettono le cellule che compongono il corpo umano incondizione di funzionare al meglio delle loro possibilità consentendo di raggiungere il massimo potenziale di salute.
La natura non fornisce mai micronutrienti isolati, ma solo complessi sinergici, armonici, sì da ottenere il massimo dei risultati con il minimo degli sforzi.
I micronutrienti delle alghe non sono farmaci e neppure integratori. Essi sono, veri e propri alimenti che la natura ha adattato alle esigenze delle cellule viventi attraverso centinaia di milioni di anni di evoluzione.
Con i micronutrienti delle alghe quindi non si hanno controindicazioni; non sono minimamente pericolosi, non danno reazioni collaterali, non creano assuefazione, non producono fenomeni di sommazione nè di interazione con farmaci, prodotti medicinali omeopatici, fitoterapici o floriterapici  che si stanno assumendo.
Se si forniscono costantemente all'organismo tutti i micronutrienti essenziali in quantità ottimale si potenzia l'attività dei sistemi enzimatici. Pertanto si può regolarizzare ed accresce l'azione degli ormoni, aumentare l'efficacia dei sistemi di difesa (sistema immunitario ed altri) e di ricostituzione dei tessuti, l'efficienza di tutti gli organi ed apparati dell'organismo. Si può avere addirittura una rigenerazione delle cellule e un vero e proprio ringiovanimento.
I micronutrienti delle alghe (veri e propri alimenti) sono oggi il mezzo più potente e più naturale per prevenire le disfunzioni ed il logorio dell'organismo, per prolungare la vita mantenendosi in buona salute.
Con l'assunzione regolare di tutti i principali micronutrienti si possono rafforzare le difese dell'organismo e la sua efficienza. L'organismo stesso provvederà, con i mezzi fornitigli dalla natura, ad eliminare le disfunzioni che lo affliggono o a tenerle a bada in modo da poter vivere meglio. E' per questo motivo che i micronutrienti servono, indirettamente, per combattere malattie assai diverse fra di loro, anche contemporaneamente.
L’integrazione nutriceutica con le alghe permette di raggiungere il massimo potenziale di salute utilizzando le molecole di cui è composto il corpo e che si trovano negli alimenti, essendo esse veri e propri alimenti concentrati. Gli effetti della alimentazione Nutriceutica con le Alghe non sempre sono immediati perché i nutrienti influiscono sul rinnovamento delle cellule e quindi dei tessuti organici con un’azione lenta e costante.
Se effettivamente si seguono i rapporti sinergici degli elementi essenziali si dovranno assumere solo micronutrienti effettivamente naturali, solo questa condizione assicura la presenza degli elementi in quantitativi di rapporti sinergici e garantisce inoltre che le vitamine, i minerali e gli oligoelementi contenuti e quindi utilizzati siano tutti bioassimilabili. Infatti, la ricerca scientifica ha appurato che quelle vitamine, minerali, oligoelementi di sintesi, la cui catena chimica differisce da quella di estrazione naturale, non vengono riconosciute dall’organismo come utili, di conseguenza questo non le assimila correttamente. L’alimentazione Nutriceutica con le Alghe, al contrario, garantisce micronutrienti assolutamente naturali, integri e biodisponibili.
La Terapia Nutriceutica con le Alghe è stata ampiamente sperimentata per diversi anni, con risultati estremamente efficaci, sia come prevenzione che come metodo di cura integrata per il riequilibrio fisico, psichico ed energetico.
https://www.algheria.it/nutriceutica-con-le-alghe

03 agosto 2016

Sensibilità al glutine non celiaca (NCGS)

Key Points
• La “Non Celiac Disease Gluten Sensitivity” (NCGS) è una sindrome complessa,
 i cui aspetti epidemiologici, clinici e patogenetici restano da definire.
• L’assenza di biomarkers e la complessità delle procedure diagnostiche rendono 
difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche della NCGS.
• La clinica dei pazienti che si ritiene siano affetti da NCGS è varia.
• Oltre al glutine, è possibile la responsabilità di altri componenti della dieta, 
come i FODMAPs.
• Alcuni studi suggeriscono il possibile ruolo di un meccanismo immunitario, 
seppur diverso quello attivo nella celiachia, ma non è possibile escludere al momento 
alterazioni della motilità intestinale e/o della sensibilità viscerale


DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
La “gluten sensitivity”, o più precisamente “non celiac gluten sensitivity (NCGS)”,
è una sindrome caratterizzata da sintomi intestinali ed extra-intestinali correlati
all’ingestione di alimenti contenenti glutine, in soggetti non affetti da malattia 
celiaca (CD) né allergici al grano (1).
Per quanto sia inclusa nei disordini correlati all’ingestione di glutine, molti aspetti
epidemiologici e patogenetici sono ancora poco chiari.
In effetti questa entità è conosciuta da decenni: già negli anni ’80 si individuarono
gruppi di pazienti non celiaci con diarrea cronica, la cui sintomatologia
migliorava dopo eliminazione del glutine dalla dieta, e peggiorava dopo la sua
reintroduzione.
La prevalenza nella popolazione generale è difficilmente stimabile, visto anche
l’aumento di pazienti autodiagnosticatisi disturbi correlati al glutine che hanno
iniziato la dieta senza glutine (DSG) senza indicazione medica.
Tuttavia la NCGS sembra un disturbo piuttosto comune: in uno studio americano,
condotto su 7.762 persone dai sei anni in su coinvolte nel “National Health
and Nutrition Examination Survey” (NHANES), è stata stimata una percentuale
dello 0,55% di pazienti a DSG auto-prescritta, con una prevalenza più alta
nelle donne e nei pazienti adulti. 
Altri studi hanno mostrato prevalenze variabili tra lo 0,6% e il 6%. 
Gli importanti limiti di queste stime è che si tratta di dati spesso provenienti 
dai centri specialistici e in ogni caso la relazione tra sintomi gastrointestinali 
e l’intake di glutine non è stata adeguatamente esplorata.
Il gold standard diagnostico da tutti proposto è il challenge con glutine in doppio
cieco controllato con placebo (double-blind placebo-controlled challenge,
DBPC), con comparsa di sintomi intestinali ed extraintestinali direttamente 
correlabile al’ingestione di glutine e la loro scomparsa con l’eliminazione 
dello stesso dalla dieta.
Questa metodica non è tuttavia di facile esecuzione nella pratica clinica. 
In pochissimi studi i pazienti sono stati correttamente diagnosticati e ciò 
rappresenta un importante limite per molte delle informazioni disponibili 
circa la clinica e la patogenesi di questa condizione.
Il rapporto tra Irritable bowel Syndrome (IBS) e disturbi correlati al glutine è
complesso, ed è suggerito un legame tra il disordine funzionale e la NCGS. 
Secondo altri autori, il ruolo del glutine nell’insorgenza dei sintomi andrebbe 
ridimensionato, valorizzando invece il peso di altri nutrienti, in particolare 
gli oligoe monosaccaridi fermentabili e polioli (FODMAPs), presenti nel 
grano ma anche in altri alimenti come alcuni vegetali.

La relazione tra sintomi IBS-like e dieta priva di glutine non è chiara: uno studio
randomizzato e controllato non ha evidenziato effetti specifici o dose-dipendenti
del glutine, una volta esclusi i FODMAPs, in una coorte di pazienti con NCGS
“autoriportata” e sintomi IBS-like (2). Secondo alcuni sarebbe più corretto parlare
di “sensibilità al grano non celiaca” (Non Celiac Wheat Sensitivity - NCWS).

CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI
Le caratteristiche dei pazienti con NCGS sono ancora poco chiare. 
Uno studio prospettico multicentrico condotto in Italia in 38 centri, di cui  
4 pediatrici, ha individuato, durante un periodo di sorveglianza di un anno, 
486 pazienti con NCGS, diagnosticati in base alla comparsa di sintomi in seguito 
all’assunzione di glutine, e alla loro scomparsa in seguito all’eliminazione del glutine
dalla dieta, ovviamente dopo aver escluso CD e allergia al grano. 
410 pazienti (84%) erano donne con un’età media di 38 anni e con più di due sintomi. 
Tra i sintomi gastrointestinali, i due più frequenti erano il gonfiore e il dolore 
addominale, seguiti da nausea, sensazione di reflusso, stomatite aftosa.
Più del 50% dei pazienti riferiva un alvo diarroico, il 24% costipazione e il 27% 
caratteristiche dell’alvo alternate. Tra i sintomi extraintestinali, i più frequenti sono 
stati l’astenia e la sensazione di malessere, il dolore osteo-artro-muscolare, 
la perdita di peso, l’anemia e alcune manifestazioni cutanee. 
Per quanto riguarda i sintomi neuropsichiatrici, circa il 54% dei pazienti riferiva 
cefalea, seguita da ansia e senso di mente annebbiata e da depressione. 
Il 95% di questi pazienti riferiva insorgenza dei sintomi ogni volta o quasi 
che assumeva cibo contenente glutine. 
In questo studio è stata valutata anche l’associazione con altre patologie: 
l’associazione più frequente era con IBS, rilevata nel 47% dei pazienti, 
mentre intolleranze alimentari e allergie ad inalanti, alimenti o metalli 
sono state individuate nel 35% e 20% dei pazienti rispettivamente. 
In questo studio è stata confermata la mancanza di associazione con l’aplotipo 
HLA, mentre il marker immunitario contro la gliadina più frequentemente 
individuato è rappresentato dagli anticorpi antigliadina IgG di prima generazione
(AGA IgG), riscontrato nel 25% dei pazienti. Una biopsia duodenale, quando 
effettuata, presentava un Marsh 0 nel 69% dei casi e un Marsh 1 nel 31%. 
Nei diversi centri il rapporto tra le nuove diagnosi di NCGS e celiachia durante 
lo studio è stato di 1,15:1, passando a 0,29:1 considerando soltanto le casistiche 
dei centri pediatrici (3). 
Lo studio è interessante perché offre uno spaccato di come è percepita oggi 
la NCGS, ma va sottolineato come tutte queste informazioni provengano da 
pazienti non sottoposti ad adeguato DBPC.
In uno studio condotto su popolazione adulta nel 2012 in cui gli autori preferiscono
l’espressione NCWS (4), sono stati analizzati 276 pazienti con una sintomatologia 
IBSlike che avevano ricevuto diagnosi di NCWS in base all’esecuzione di un
DBPC, con l’esclusione di altre diagnosi mediante metodiche di laboratorio, 
radiografiche ed endoscopiche.
I pazienti sono stati sottoposti a un DBPC per grano e latte. Durante il
periodo di studio sono state registrate la comparsa dei sintomi tramite questionario
validato, e la loro gravità mediante scala visiva analogica. I pazienti positivi al 
challenge erano divisibili in due gruppi, il primo caratterizzato dalla sola NCWS, 
il secondo caratterizzato da ipersensibilità alimentari multiple. Tutti i pazienti hanno 
mostrato un aumento della sintomatologia (gonfiore, dolore addominale, modifica 
della consistenza delle feci) in seguito all’assunzione di grano, ma nessuno ha mostrato 
aumento degliindici infiammatori. Nessuno dei pazienti con NCWS mostrava 
atrofia dei villi. I pazienti che erano pure HLA-DQ2 e/o DQ8 positivi appartenevano
principalmente al primo gruppo e mostravano infiltrazione linfocitaria maggiore 
rispetto ai negativi, inoltre circa un terzo delle biopsie presentava la produzione 
di anticorpi antiendomisio (EMA) nel mezzo di coltura, mentre i pazienti del 
secondo gruppo mostravano frequentemente un infiltrato eosinofilo. 
Inoltre i pazienti con sola NCWS presentavano una maggior frequenza di anemia 
e perdita di peso rispetto ai pazienti con intolleranze multiple, mentre in questi ultimi 
era più frequente la coesistente storia di atopia.
Viste le caratteristiche istologiche dei pazienti del primo gruppo, è possibile ipotizzare
che alcuni pazienti con NCWS rientrino piuttosto nello spettro della CD.
Gli effetti del glutine su pazienti con IBS sono stati indagati in uno studio del 2013 (5):
45 pazienti affetti da IBS con fenotipo diarroico sono stati randomizzati in due gruppi
per confrontare gli effetti della dieta con e senza glutine sulla motilità e permeabilità
intestinale. I pazienti HLA DQ2/8 positivi a dieta con glutine presentavano più movimenti
intestinali, un aumento della permeabilità e un’alterazione dell’espressione delle
proteine delle giunzioni cellulari.
Ci sono minori informazioni sulla popolazione pediatrica, anche se sembra che anche
i bambini presentino come sintomi più frequenti dolore addominale, diarrea cronica,
astenia e gonfiore, e spesso una positività degli AGA IgG (6).
Per quanto riguarda gruppi di pazienti particolari, l’efficacia della DSG nella popolazione
autistica non è stata provata da studi randomizzati e controllati. In uno studio
coinvolgente 140 bambini di cui 37 con autismo, 27 parenti sani di autistici e 76 controlli,
la popolazione con autismo mostrava livelli di AGA IgG significativamente più
alti rispetto ai controlli sani e ai parenti, mentre non si registravano differenze tra i
markers sierologici specifici della CD né una chiara associazione tra livelli di AGA IgG
e HLA. I pazienti autistici con sintomi gastrointestinali associati presentavano livelli di
AGA IgG significativamente più alti rispetto agli autistici senza sintomi gastrointestinali.
I risultati di questo studio suggeriscono la possibilità che nella popolazione autistica
agisca un meccanismo immunitario coinvolgente la gliadina ma diverso dai processi
coinvolti nella CD. Per ammissione stessa degli autori, questi dati non
necessariamente indicano la presenza di sensibilità al glutine nella popolazione autistica,
ma piuttosto confermano l’assenza di correlazione tra CD e autismo (7).

PATOGENESI
Le informazioni sui meccanismi patogenetici della NCGS provengono in larghissima
parte da studi condotti su soggetti non sottoposti ad appropriate procedure di challenge.
In uno studio condotto da Sapone et al (8) coinvolgente 26 pazienti con NCGS, 42 pazienti
con CD attiva e 39 controlli, i pazienti con NCGS non presentavano, a differenza
di pazienti con CD attiva, aumento della permeabilità intestinale, che anzi risultava significativamente ridotta rispetto ai controlli sani; parallelamente si osservava su campioni
bioptici duodenali un aumento della claudina 4, una proteina coinvolta nelle giunzioni
cellulari. Per quanto riguarda i markers immunitari, i campioni dei soggetti con
NCGS presentavano mediamente un aumento dei linfociti intraepiteliali CD3 rispetto
ai controlli, mentre il livello dei linfociti γδ era paragonabile ai controlli, probabilmente
per un meccanismo immunitario diverso rispetto a quello coinvolto nella CD. Valutando
l’espressione dei Toll Like Receptors (TLRs) 1, 2 e 4, coinvolti nell’immunità innata
e noti per essere aumentati nella CD, si è visto che il TLR2 era aumentato nelle biopsie
dei NCGS rispetto ai controlli, così come era presente una riduzione nell’espressione di
FOXP3 e TGFB1, due molecole marker delle cellule T regolatorie. Anche in questo
studio, circa il 50% dei pazienti con NCGS presentava una positività per gli AGA. Questi
dati suggerirebbero che CD e NCGS siano due entità distinte con diverse risposte
mucosali al glutine. Il ruolo dell’immunità nella NCGS è stato esplorato valutando anche
l’espressione di IFN-γ, IL-8, TNF-α, MCP-1, Hsp-27 e Hsp-70, molecole coinvolte
nell’immunità innata e adattativa, di MxA, proteina effettrice del pathway dell’IFN-α,
e delle cellule CD3, in biopsie di 30 pazienti con NCGS HLA-DQ2 positivi e 15 pazienti
con CD, tutti a DSG, ottenute prima e dopo un challenge in aperto al glutine.
Nello studio in questione (9) si confermava un aumento dei linfociti CD3 nella mucosa
dei pazienti con NCGS indipendentemente dal challenge. L’IFN-γ, che nello studio di
Sapone risultava più basso nei NCGS rispetto ai CD, aumentava nelle biopsie dei pazienti
con NCGS in risposta al challenge con glutine, mentre era costitutivamente aumentato
nelle biopsie dei pazienti con CD. Alcuni autori hanno infine riportato una
risposta immunitaria innata scatenata da componenti del grano diversi dal glutine, come
gli amylase/trypsin inhibitors (ATIs) (10), ed è stato ipotizzato un loro ruolo nella
genesi della NCGS.

CONCLUSIONI
L’assenza di biomarkers e in molti casi la inadeguatezza delle procedure 
diagnostiche rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche 
della NCGS. Il ruolo del glutine è ancora da definirsi, così come i meccanismi 
immunitari eventualmente coinvolti.
Va infine sottolineato il pericolo, soprattutto nella popolazione adulta, che 
l’autodiagnosi di NCGS e l’autoprescrizione della DSG impedisca la corretta 
diagnosi di CD.

Bibliografia
1. Catassi C, Bai JC, Bonaz B et al. Non-Celiac Gluten sensitivity: the new frontier of gluten related
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3. Volta U, Bardella MT, Calabrò A et al. An Italian prospective multicenter survey on patients suspected
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4. Carroccio A, Mansueto P, Iacono G et al. Non-celiac wheat sensitivity diagnosed by double-blind
placebo-controlled challenge: exploring a new clinical entity. Am J Gastroenterol. 2012
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5. Vazquez-Roque MI, Camilleri M, Smyrk T et al. A controlled trial of gluten-free diet in patients with
irritable bowel syndrome-diarrhea: effects on bowel frequency and intestinal function. Gastroenterology.
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6. Francavilla R, Cristofori F, Castellaneta S et al. Clinical, serologic, and histologic features of gluten
sensitivity in children. J Pediatr. 2014 Mar;164(3):463-7.
7. Lau NM, Green PH, Taylor AK et al. Markers of Celiac Disease and Gluten Sensitivity in Children
with Autism. PLoS One. 2013 Jun 18;8(6):e66155.
8. Sapone A, Lammers KM, Casolaro V et al. Divergence of gut permeability and mucosal immune
gene expression in two gluten-associated conditions: celiac disease and gluten sensitivity. BMC Med.
2011 Mar 9;9:23.
9. Brottveit M, Beitnes AC, Tollefsen S et al. Mucosal cytokine response after short-term gluten challenge
in celiac disease and non-celiac gluten sensitivity. Am J Gastroenterol. 2013 May;108(5):842-50
10. Junker Y, Zeissig S, Kim SJ et al. Wheat amylase trypsin inhibitors drive intestinal inflammation via
activation of toll-like receptor 4. J Exp Med. 2012 Dec 17;209(13):2395-408.


Corresponding Author
RICCARDO TRONCONE
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali
Sezione di Pediatria
Università degli Studi di Napoli Federico II
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