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16 maggio 2017

Genetica: tra uomo e donna la differenza è in 6.500 geni

Tra uomo e donna le differenze partono dai geni. Per l’esattezza sono 6.500 i geni espressi in modo differente. Dall’accumulo di grasso ai muscoli, dalla peluria alla produzione di latte, queste diverse espressioni potrebbero caratterizzare i due sessi anche nella suscettibilità a certe malattie così come nella risposta alle terapie. L’evoluzione con questi geni è stata poco selettiva, favorendo di fatto la diffusione di mutazioni che possono determinare problemi come l’infertilità. A indicarlo è uno studio pubblicato su BMC Medicine dal Weizmann Institute of Science di Israele.
Alla base ci sono i dati raccolti dal progetto GTEx, un grande studio che ha analizzato i geni espressi nei vari organi e tessuti del corpo umano di quasi 550 adulti di entrambi i sessi, portando alla realizzazione della prima mappa delle differenze genetiche tra uomini e donne. I ricercatori Shmuel Pietrokovski e Moran Gershoni del Weizmann Institute hanno usato questo database per valutare nello specifico l’espressione di 20.000 geni, arrivando così a identificarne 6.500 che sono ‘accesi’ in modo diverso tra maschi e femmine in almeno un tessuto del corpo.
Oltre ai geni legati a caratteristiche sesso-specifiche, come la peluria o la produzione di latte, ne sono emersi molti altri insospettabili. E’ il caso di alcuni geni ‘accesi’ solo nel ventricolo sinistro del cuore della donna, tra i quali uno in particolare, legato all’uso del calcio, che tende a spegnersi con l’avanzare dell’età, probabilmente aumentando il rischio di malattie cardiovascolari e osteoporosi dopo la menopausa. E’ stato trovato anche un gene espresso prevalentemente nel cervello delle donne che potrebbe proteggere i neuroni dal Parkinson.
I ricercatori hanno scoperto che la selezione naturale è stata più indulgente con le mutazioni sesso-specifiche contenute in questi geni, soprattutto quelle legate al genere maschile, favorendone di fatto la diffusione. Da qui l’idea che uomini e donne non abbiano seguito lo stesso cammino evolutivo, bensì due percorsi separati e interconnessi fra loro: l’evoluzione umana sarebbe dunque da rileggere come una co-evoluzione.
Mag 09,2017

07 settembre 2015

L'alimentazione personalizzata come rimedio all'infiammazione

L'infiammazione è esperienza condivisa da tutti, tanto che i farmaci antinfiammatori sono in assoluto i più venduti al mondo, come numero di pezzi. Ogni medico inoltre si confronta quotidianamente con fenomeni di infiammazione a bassa intensità che spesso durano a lungo e che per anni sono stati scarsamente compresi. Il sospetto di una relazione diretta con l'alimentazione è sempre stato molto forte, ma molti ricercatori si sono avvicinati in modo spesso controverso al tema delle cosiddette intolleranze alimentari scontrandosi con pregiudizi, petizioni di principio e proponendo in molti casi pratiche diagnostiche dubbie. La scoperta che un alimento può indurre la produzione di Baff (B Cell Activating Factor) o di Paf (Platelet Activating Factor) e provocare tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo risale agli studi di Lied (1) del 2010 ma solo da poco è applicata in ambito clinico. La misurazione di queste citochine consente di capire il livello di infiammazione correlata al cibo eventualmente presente in una persona e di agire sugli aspetti nutrizionali per ridurla e per controllarne gli effetti sulla salute. Si tratta di una vera rivoluzione concettuale che consente di andare oltre la conoscenza di Ves e Pcr che da oltre 50 anni restano incredibilmente gli unici due "indicatori di infiammazione" usati dalla medicina in ambito clinico. Baff e Paf invece sono effettivi indicatori di una reazione dovuta anche al cibo, come documentato da Piuri (2). Si tratta di un primo passo verso la migliore comprensione delle reazioni dell'organismo che porterà in breve alla acquisizione e alla valorizzazione di altri biomarkers specifici che consentiranno sempre di più di caratterizzare il fenotipo di una reazione alimentare. Sappiamo che si tratta di una reazione dovuta all'immunità innata e all'attivazione di Toll Like Receptors (soprattutto Tlr2 e Tlr4), recettori che svolgono nell'organismo la funzione di segnalare un pericolo, che nel caso del cibo è il superamento di un livello di soglia nell'assunzione di cibo e manifestano la reazione infiammatoria come fosse una "luce di allarme" perché si cambi il comportamento alimentare. Poiché questa reazione non riguarda solo la Sindrome del colon irritabile o la colite ma anche patologie come artrite reumatoide, morbo di Crohn, lupus, diabete (3) e molte altre, l'approccio più moderno è quello di interpretare la reazione infiammatoria come un avvertimento o un segnale per un reale cambio di comportamenti che guidi il recupero dello stato di benessere attraverso una alimentazione personalizzata.
1) Lied GA et al, Aliment Pharmacol Ther. 2010 Jul;32(1):66-73. Epub 2010 Mar 26
2) Piuri G, Soriano J, Speciani MC, Speciani AF (2013) B cell activating factor (BAFF) and platelet activating factor (PAF) could both be markers of non-IgE-mediated reactions. Clin Transl Allergy 3:O5.
3) Kim YH et al, Exp Mol Med. 2009 Mar 31;41(3):208-16.


Attilio Speciani

17 luglio 2015

Fondamentale l'uso degli enzimi nel trattamento delle patologie autoimmuni



La completa digestione degli alimenti e la riduzione degli antigeni residui nell'intestino ha un forte rilievo nel trattamento delle patologie autoimmuni e l'uso degli enzimi è una delle armi più frequentemente utilizzate, al pari degli antinfiammatori, dei regolatori immunitari e dei probiotici, nel piano terapeutico di ogni persona.
Molti pensano alle patologie autoimmuni come a malattie in cui si costruiscano anticorpi contro il proprio "self" che facilitino l'autodistruzione. Il tema è dibattuto, perché in realtà molti autoanticorpi esistono "normalmente" in persone che non hanno nessun tipo di disturbo e in molte situazioni, come nella tiroidite di Hashimoto, la presenza di autoanticorpi, anche a livelli elevati, non significa necessariamente che la tiroide smetta di funzionare. Ciò che genera "malattia" è la reazione infiammatoria, quasi sempre stimolata anche dal contatto tra intestino e cibo che assume così un ruolo spesso determinante. L'innesco di questo meccanismo può essere dovuto a citochine come BAFF (B Cell Activating Factor) e PAF (Platelet Activating Factor) che attivano a cascata una risposta immunologica diretta. Gli autoanticorpi non determinano necessariamente una lesione d'organo, ma possono invece creare, con alcune proteine assorbite dall'intestino e non ancora completamente digerite, dei reticoli complessi, quasi dei veri e propri "grumi", che vengono filtrati e trattenuti da alcuni organi e che generano una attivazione a cascata di reazioni infiammatorie di forte impatto sull'intero organismo.
Il malassorbimento intestinale, l'infiammazione da cibo e la "leaky gut syndrome" (situazione in cui la permeabilità intestinale è aumentata) sono tutte situazioni che facilitano la comparsa di malattie autoimmuni. Basti pensare per esempio alle strette relazioni tra tiroidite e Gluten sensitivity. Come ha descritto Fasano (1), l'aumentata permeabilità intestinale è la possibile causa di molte malattie autoimmuni e la completa digestione enzimatica della gliadina, ottenuta da proteasi prodotte dall'Aspergillo, è in grado di ridurre o annullare la risposta reattiva delle cellule T sensibli al glutine (2).
Quest'ultimo lavoro spiega perché la completa digestione della gliadina può ridurre la reazione che porta poi, nei soggetti predisposti, allo sviluppo della celiachia.
Quindi le reazioni autoimmuni sono spesso stimolate dalla presenza di un reticolo di proteine indigerite in cui gli autoanticorpi fanno da "legante", attivando l'azione del Complemento (dosabile nel sangue come C3 e C4) che viene consumato e si presenta in questi casi spesso ridotto. Il fatto che la grande maggioranza delle malattie autoimmuni, infiammatorie e allergiche tragga beneficio dall'utilizzazione a cicli ripetuti di enzimi digestivi fa capire che la cattiva digestione è una concausa importante di questi disturbi e tra le tante sicuramente una concausa facilmente risolvibile.
1) Fasano A. Clin Rev Allergy Immunol. 2012 Feb;42(1):71-8. doi: 10.1007/s12016-011-8291-x
2) Toft-Hansen H et al, Clin Immunol. 2014 Aug;153(2):323-31. doi: 10.1016/j.clim.2014.05.009. Epub 2014 Jun 3.
Attilio Speciani