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03 ottobre 2015

Cancro alla prostata e integratori del pr Fabio Firenzuoli

Impressionante leggere dai media le notizie riprese dalla letteratura scientifica … perché poi si pone sempre il dilemma di andare o non andare e come andare a consultare la letteratura scientifica alla fonte.  E’ il caso ad esempio dell’ultimo lavoro di recente pubblicato dal gruppo del Gontero P. e coll.  dell’ Università di Torino sui rischi degli integratori per il cancro alla prostata. Ieri è comparso su La Stampa di Torino un articolo titolato “Troppi integratori  alimentari provocano il tumore alla prostata”. Ora capisco anche il fatto che i titoli dei giornali hanno il significato ben preciso di far vendere o di comunque di attirare l’attenzione del lettore, ma… santamadonnina, si sta parlando di patologie gravi e diffuse come il cancro, e non si possono lanciare così nell’etere notizie allarmanti,  quando vai davvero a leggere il lavoro ti rendi conto che ci sono cose che non tornano…
Eh insomma…
Allora ripartiamo dall’inizio del mio discorso.
Chi lancia la notizia scientifica in particolare se vuol essere sensazionale, si deve accontentare di quello che gli viene riferito ? deve leggersi il riassunto del lavoro presentato ad un congresso? Il riassunto del lavoro in fase di pubblicazione una volta accettato per la pubblicazione su una rivista ? o solo quando pubblicato ? o forse non è meglio leggere tutto il lavoro per esteso già pubblicato ? o ancora leggerselo tutto ed entrare nel merito del lavoro per capire come è stato condotto davvero il lavoro ? per poter meglio trasferire l’essenza della ricerca ai suoi lettori ovviamente, in un linguaggio semplice e chiaro.
Ebbene, tutto questo processo, che può richiedere più o meno tempo ed  ovviamente delle competenze, è indispensabile, e può essere mediato anche da un tecnico, ma mi ripeto, è indispensabile, soprattutto quando si devono far passare notizie  cosiddette perlomeno apparentemente “rivoluzionarie” altrimenti si rischia di prendere anche delle cantonate…
Ebbene leggere questo lavoro specifico dal vivo, cioè pubblicato per esteso è stato per me una sorpresa nella sorpresa, perché da La Stampa, avevo appreso che un supplemento di selenio, licopene e tè verde provoca il cancro alla prostata, leggendo il lavoro sulle pagine della rivista scientifica, ho trovato una serie di motivazioni tecniche , assolutamente non banale, anzi…, che dovrebbero far rivedere quantomeno la discussione e le conclusioni se non il disegno del lavoro stesso:
  1. è stata utilizzata una dose  giornaliera di licopene superiore al doppio di quanto ammesso dal ministero, quando c’era già da tempo letteratura sui rischi di una supplementazione esagerata di licopene …
  2. perché lo hanno somministrato in un’unica compressa associandolo al tè verde, per il quale invece c’è ampia letteratura relativa alla attività protettiva del tè verde  ?
  3. avrebbero dovuto semmai nel tempo somministrare a gruppi distinti dosi diverse di licopene  e vedere se ci fossero state risposte diverse
  4. oppure creare gruppi distinti con comunque le varie sostante separate
  5. è stato somministrato un estratto di polifenoli di tè verde di cui manca la  analisi qualitativa e lo studio di farmacocinetica
  6. è stato condotto uno studio così complesso, durato molti anni,  coinvolgendo tante strutture, uomini, mezzi, risorse, per anni e anni, in realtà studiando in tutto soltanto 27 trattati su un totale di 60 arruolati.
  7. dei pazienti non è stata studiata la storia familiare di carcinoma prostatico
  8. quindi per concludere (siccome poi quando si parla di efficacia si pretendono, giustamente, sempre i grandi numeri) in questo caso invece si deve dire che su un piccolo numero di pazienti trattati, pur essendo state utilizzate tecniche sofisticatissime, in realtà non sono stati adottati una serie di accorgimenti, forse banali, che avrebbero magari alla fine farci capire se davvero qualcuna di quelle tre sostanze fosse stata rischiosa o meno per qualcuno di quei pazienti.
  9. Ma sarebbero comunque serviti numeri enormi e disegni di studio adeguati a valutare la sicurezza e non l’efficacia.
  10. La stampa avrebbe dovuto tener conto anche di tutto questo
E ora, se me lo consentite, vado a farmi una bella tazza di tè verde.
Fabio Firenzuoli

17 luglio 2015

Fondamentale l'uso degli enzimi nel trattamento delle patologie autoimmuni



La completa digestione degli alimenti e la riduzione degli antigeni residui nell'intestino ha un forte rilievo nel trattamento delle patologie autoimmuni e l'uso degli enzimi è una delle armi più frequentemente utilizzate, al pari degli antinfiammatori, dei regolatori immunitari e dei probiotici, nel piano terapeutico di ogni persona.
Molti pensano alle patologie autoimmuni come a malattie in cui si costruiscano anticorpi contro il proprio "self" che facilitino l'autodistruzione. Il tema è dibattuto, perché in realtà molti autoanticorpi esistono "normalmente" in persone che non hanno nessun tipo di disturbo e in molte situazioni, come nella tiroidite di Hashimoto, la presenza di autoanticorpi, anche a livelli elevati, non significa necessariamente che la tiroide smetta di funzionare. Ciò che genera "malattia" è la reazione infiammatoria, quasi sempre stimolata anche dal contatto tra intestino e cibo che assume così un ruolo spesso determinante. L'innesco di questo meccanismo può essere dovuto a citochine come BAFF (B Cell Activating Factor) e PAF (Platelet Activating Factor) che attivano a cascata una risposta immunologica diretta. Gli autoanticorpi non determinano necessariamente una lesione d'organo, ma possono invece creare, con alcune proteine assorbite dall'intestino e non ancora completamente digerite, dei reticoli complessi, quasi dei veri e propri "grumi", che vengono filtrati e trattenuti da alcuni organi e che generano una attivazione a cascata di reazioni infiammatorie di forte impatto sull'intero organismo.
Il malassorbimento intestinale, l'infiammazione da cibo e la "leaky gut syndrome" (situazione in cui la permeabilità intestinale è aumentata) sono tutte situazioni che facilitano la comparsa di malattie autoimmuni. Basti pensare per esempio alle strette relazioni tra tiroidite e Gluten sensitivity. Come ha descritto Fasano (1), l'aumentata permeabilità intestinale è la possibile causa di molte malattie autoimmuni e la completa digestione enzimatica della gliadina, ottenuta da proteasi prodotte dall'Aspergillo, è in grado di ridurre o annullare la risposta reattiva delle cellule T sensibli al glutine (2).
Quest'ultimo lavoro spiega perché la completa digestione della gliadina può ridurre la reazione che porta poi, nei soggetti predisposti, allo sviluppo della celiachia.
Quindi le reazioni autoimmuni sono spesso stimolate dalla presenza di un reticolo di proteine indigerite in cui gli autoanticorpi fanno da "legante", attivando l'azione del Complemento (dosabile nel sangue come C3 e C4) che viene consumato e si presenta in questi casi spesso ridotto. Il fatto che la grande maggioranza delle malattie autoimmuni, infiammatorie e allergiche tragga beneficio dall'utilizzazione a cicli ripetuti di enzimi digestivi fa capire che la cattiva digestione è una concausa importante di questi disturbi e tra le tante sicuramente una concausa facilmente risolvibile.
1) Fasano A. Clin Rev Allergy Immunol. 2012 Feb;42(1):71-8. doi: 10.1007/s12016-011-8291-x
2) Toft-Hansen H et al, Clin Immunol. 2014 Aug;153(2):323-31. doi: 10.1016/j.clim.2014.05.009. Epub 2014 Jun 3.
Attilio Speciani